Progetti condivisi

Stiamo giungendo al termine del sessennio (2007 – 2013). Tra pochi mesi (maggio 2013) il 19º Capitolo generale avrà il compito di valutare il cammino della Regione del Brasile ed, eventualmente, rinnovare la carica di governo. Che cosa pensi al riguardo? Quali sono le tue considerazioni in questi mesi di ‘attesa’ e di ‘passaggi’? I mesi che ci separano dal Capitolo generale sono mesi importanti per l’intera Congregazione. Il tempo di preparazione ad un Capitolo è tempo propizio per fare delle analisi ma anche e soprattutto per condividere un cammino. Ciascuno, ovunque abbia lavorato in questo sessennio, ha cercato di dare il meglio di sé per far crescere il senso di famiglia della nostra Congregazione. La Regione brasiliana ha fatto la sua parte. È cresciuto il senso di appartenenza, di visione globale della Congregazione, ha espresso un senso di missionarietà nuovo (si pensi all’invio in missione di padre Cezar e padre Adailton), ha rafforzato la riqualificazione carismatica delle opere, ha creato un gruppo di giovani che si ispirano alla spiritualità della Fondatrice, si sta impegnando in un impegnativo progetto apostolico in Jandira. Sono tutti passi nella direzione giusta. Certo non mancano difficoltà e sfide. La società brasiliana è una realtà in profonda mutazione, e anche lo stile di evangelizzazione deve cambiare con essa. Servono linguaggi nuovi, strategie nuove, forze nuove. Le giovani vocazioni autoctone ci stanno stimolando e non poco a percorre strade nuove di evangelizzazione. È un cammino entusiasmante. Rispetto al problema delle “cariche” penso non sia un problema di nomi o persone, ma di progetti condivisi e di trasparenza. In questi anni abbiamo lavorato per allargare la base del consenso, sulle cose di Congregazione e di Regione, a tutti quelli che volessero dare un contributo fattivo; penso che in parte questo risultato si sia ottenuto. Chi sarà chiamato a guidare l’intera Congregazione o una sua parte, non potrà che inserirsi, con la sua originalità, in questo cammino.

Quali, in sintesi, gli obiettivi verso cui la Regione si è mossa nel sessennio? Potremmo dividere il sessennio in due momenti: i primi tre anni sono serviti a me e alla Regione per riflettere sullo stato della situazione e individuare i luoghi più urgenti di evangelizzazione. Il secondo periodo, per far crescere un consenso e un’attività nuova attorno a questi nodi. Arrivare in Brasile senza conoscere la realtà è stato difficile per me e per coloro che mi hanno accolto. Io ho dovuto fare lo sforzo, nel più breve tempo possibile, di conoscere la ricca realtà delle missioni brasiliane, i Religiosi della Regione, invece, hanno dovuto avere la pazienza di aspettare e hanno dovuto fare lo sforzo di adattarsi ad uno stile differente. La dinamica evangelizzatrice che i Religiosi della Sacra Famiglia esprimono in Brasile è molto ricca e da tutti riconosciuta. Famiglie, giovani, vescovi non nascondono la soddisfazione per l’opera di apostolato e di testimonianza cristiana che i padri offrono. Il lavoro di questi anni è stato quello di fare una ricognizione di tutto questo ricco lavoro, discernere ciò che andava rinnovato e soprattutto unire le forze dell’intera Regione. Ne sono nati tre percorsi (ben evidenziati nel Progetto Apostolico di Regione) che incarnano i nostri tratti carismatici: i simposi sull’educazione, per qualificare carismaticamente la nostra azione educativo-assistenziale, la “Juce”, l’incontro della gioventù cerioliana e l’incontro delle famiglie delle nostre parrocchie, per dare un’impronta nostra alla vita parrocchiale. Accanto a questi percorsi trasversali, ne è nato uno più specifico che sta coinvolgendo la Regione da ormai due anni: la costruzione di un Centro educativo innovativo in Jandira, con scuola primaria, secondaria e facoltà umanistica. Ormai il progetto è bene avanzato, ci auguriamo possa vedere la luce nel prossimo anno.

Cosa resta da fare? Quali le ‘lentezze’ che minacciano il cammino ‘evangelico’ e ‘carismatico’ della Regione? Il lavoro da fare è ancora tantissimo. Innanzitutto si tratta di consolidare i percorsi appena citati e farne nascere altri. Una delle priorità per il prossimo anno è la ripresa della proposta vocazionale. Fino adesso le cose sembravano scontate, ma non è più così. Alcune aree del Brasile stanno soffrendo un considerevole calo delle vocazioni e anche la nostra Congregazione ne è sensibilmente toccata. Vivere il Vangelo, testimoniare il carisma deve andare di pari passo con una seria proposta vocazionale. È richiesto a tutti i Religiosi, ma anche ai laici che collaborano nelle nostre parrocchie, di farsi carico della promozione vocazionale. Vorremmo sfruttare il grande movimento di animazione dei giovani favorito dalla Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà nel luglio di quest’anno a Rio de Janeiro, per coinvolgere i giovani con una proposta di consacrazione religiosa e/o sacerdotale. Un’altra priorità è la formazione dei laici. Come in Italia anche qui è difficile trovare laici disponibili ad assumere impegni di responsabilità all’interno della Comunità. La Congregazione deve predisporre itinerari di formazione, usando anche internet, per consolidare e fidelizzare questi collaboratori. Conoscere il carisma e capirne la potenzialità evangelizzatrice, rafforza il senso dell’appartenenza e della cooperazione.

Per te, padre Roberto, il servizio di Superiore regionale ha coinciso con la prima esperienza missionaria. Che cosa hai imparato in questi anni? Cosa ti hanno insegnato la Regione, la Chiesa ed il Popolo brasiliano? L’esperienza missionaria brasiliana mi ha insegnato tantissimo. La frase fatta che si usa in queste circostanze è che «è molto di più quello che ho ricevuto di quello che ho dato». Ma è molto di più di una frase fatta. La cosa in assoluto che questa esperienza brasiliana mi ha insegnato è il valore delle relazioni. I contatti umani, il valore della persona, essere vicino ai suoi stati d’animo, prendersi cura dell’altro… è un valore che il popolo brasiliano ti trasmette. Noi occidentali pensiamo subito ai progetti, alle cose da fare e ci dimentichiamo delle persone con cui stiamo facendo o vogliamo fare le cose. Anche nell’evangelizzazione spesso puntiamo più alle strategie che alle persone. In Brasile niente inizia senza un “bom dia”, un saluto, un abbraccio. È la prima e fondamentale forma di umanizzazione e forse di evangelizzazione. Ma l’elenco delle cose che ho imparato in questa esperienza missionaria sono davvero tantissime… mi auguro di avere il tempo di impararne ancora molte altre…

Cuochi per bene. Sacra Famiglia in Missione

Chicco CereaLa Missio della Congregazione Sacra Famiglia come è desiderio dello spirito cristiano, è l’annuncio del Regno di Dio a tutti gli uomini, poveri e ricchi, del sud del mondo e del nord, questo lo immaginiamo tutti. Ma non tutti probabilmente sanno come tutto ciò si declina per la nostra famiglia religiosa. La Sacra Famiglia fondata da Santa Cerioli nel 1863, ora è presente oltre che in Italia, in Brasile e dal 1997 in Mozambico, paese che secondo le stime Onu del 2008 occupava il penultimo posto per grado di ricchezza, Pil e sviluppo.

La Sacra Famiglia ha aperto la prima Casa in questo Paese nel 1997, a Marracuene nei pressi di Maputo, la capitale, una seconda l’anno successivo a Maxixe, a 450 km dalla capitale ed è in costituzione una terza, quella di Mongue dove vivono e lavorano padre Vittorio Carminati e fratel Gianfranco Giassi.

A Marracuene, i padri svolgono diverse attività interessanti:

–         Una casa accoglienza per 70 bambini senza genitori e famiglia

–         Una scuola dell’infanzia

–         Corsi di recupero per i bambini che frequentano la scuola pubblica collocata proprio nei pressi della missione

CuochiPerBene–         E soprattutto una scuola di secondo grado che ospita più di novecento alunni: iniziativa che ha avuto inizio nel 2010 e ora è la le scuole più ambite dalle famiglie del distretto di Marracuene che conta più di 120 mila abitanti (es. Blood Diamond – Diamanti di sangue, con Di Caprio, 2006 è stato girato in parte a Marracuene e Maputo, e non in Sierre Leone e Rodesia-Zimbabwe)

A Maxixe, le attività sono ancora più interessanti:

–         Ci sono 15 comunità attorno alla città di circa 110 mila abitanti. Dal 2004 i missionari hanno messo in funzione dodici scuole dell’infanzia, quasi una per ogni comunità. Che significa: pozzo per l’acqua, struttura quasi sempre in muratura per ospitare dai 150 ai 300 bambini. Ad ogni bambino vengono garantiti i tre pasti canonici, una istruzione che si va sempre più specializzando e una prima assistenza medica.

Arrigoni–         E soprattutto a Maxixe è in attività dal 2006 la Unisaf, Università pedagogica Sacra Famiglia, con più di 170 studenti frequentanti. Le facoltà ora sono 8 e come ha lasciato detto il Direttore del distratto di Inhambane, provincia estesa quanto a metà del territorio italiano, questa scuola sta cambiando la storia di questa provincia!

Mongue. Eccoci finalmente: dista 21 km da Maxixe, conta solo 20 mila abitanti, ma le famiglie vivono quasi tutto in case di canisso, paglia. Dal punto di vista naturalistico, Mongue si trova sopra il mare, nei pressi della baia di Inhambane e per noi che viviamo a Bergamo la sua bellezza ci conquista subito. Personalmente posso comunicarvi le mie sensazioni: ho vissuto a Mongue tutto il mese di Agosto con 31 giovani e ragazzi ed stata un’esperienza entusiasmante.

Cosa c’è a Mongue? Cosa stanno facendo i missionari?

Innanzitutto è dal 2005 che p. Vittorio vive proprio presso la missione abbandonata da decenni e con un po’ di pazienza e con gli aiuti che non gli sono mai mancati dall’Italia ha riordinato

–         l’attività parrocchiale, la sacramentalizzazione e la catechesi di bambini e adulti

–         ha fatto costruire un centro di accoglienza per pellegrini che giungono a Mongue per ritiri e incontri; funziona ora anche per chi dall’Italia vuole vivere un po’ a contatto con una natura ancora incontaminata e nello stesso tempo provare a inculturarsi nella realtà africana

–         dal 2010 ha avviato una scuola professionale per falegnami e saldatori

–         ora sta costruendo una bella scuola dell’infanzia proprio accanto all’antica missione; è un lavoro che va un po’ per le lunghe, ma in Mozambico la prima cosa che occorre imparare è la pazienza. In realtà i lavori in muratura sono giunti ad una soluzione soddisfacente, manca ancora il tetto e tutti gli impianti, ma qualcosa è fatto…

–         Grazie a questa bella iniziativa, ‘Cuochi per bene’ credo che potremmo dare la possibilità a Fratel Franco di terminare la cucina e costruire il refettorio.

–         Cucina e Refettorio serviranno in primis per i bambini che frequentano la Vescoviscuola dell’infanzia di Mongue e poi per una scuola professionale per cuochi. La scuola dell’infanzia, anche se non esiste una struttura confacente funziona già dal mese di maggio. I bambini che la frequentano sono circa un centinaio: il numero aumenta tutti i giorni. Nonostante non ci sia una casa accogliente, i genitori li mandano volentieri in missione perché sanno che avranno tutti i giorni tre pasti garantiti e delle brave insegnanti che si preoccupano della loro educazione e prima istruzione. Molti di loro, infatti, parlano il ghitonga o shizua, pochi il portoghese, che è la lingua ufficiale di tutto il Mozambico. L’istruzione della scuola dell’Infanzia permette a questi bambini di imparare il portoghese e cominciare a leggere e scrivere le lettere dell’alfabeto. Personalmente posso dire di aver trascorso alcuni giorni con i bambini e le loro insegnanti: ho provato sensazioni che rimangano e segnano la vita di chiunque ama i bambini.

–         Il progetto vuole puoi aiutare alcuni giovani a diventare provetti chef: difficile sapere come sarà il futuro prossimo di questo paese e se ci sarà un sviluppo, ma il turismo primo o poi diventerà fonte di lavoro e ricchezza. Il Mozambico presenta paesaggi fantastici e sorgono già qua e là Resort confortevoli, per lo più voluti e gestiti da imprenditori turistici che vengono dal Sud Africa. Già Fra Alessandro che vive a Marracuene, ha fatto in modo che alcuni dei giovani della casa di accoglienza frequentassero scuole per chef con ottimi risultati: già hanno trovato impiego presso alcuni ristoranti della capitale e con il frutto del lavoro si sono già costruiti una bella casa in muratura e costituito famiglia, loro che ero orfani di genitori. Lo stesso, grazie anche al nostro sostegno, può avvenire a Mongue, ce lo auguriamo.

 

Non può mancare un grazie sentito a tutti gli artefici e organizzatori di questo evento:

–         Enrico e Roberto Cerea del Ristorante Da Vittorio (Brusaporto)

–         Stefano Arrigoni e Paolo Benigni dell’Osteria della Brughiera (Villa d’Almè)

–         Daniel Facen del Ristorante Anteprima (Chiuduno)

–         Ezio Gritti dell’Osteria di Via Solata (Bergamo Alta)

–         Loredana Vescovi e Camillo Rota dell’Antica Osteria dei Camelì (Ambivere)

–         Paolo Frosio del Ristorante Frosio (Almè)

–         Mario Cornali del Ristorante Collina (Almenno San Bartolomeo)

–         Pierangelo Cornaro del Colleoni dell’Angelo (Bergamo Alta)

–         Giuliano Pellegrini del Ristorante Lio Pellegrini (Bergamo)

 

Grazie mille a tutti i convenuti. Gesù amava ripetere: ‘il regno d Dio è simile a una re che ha indetto un banchetto… con cibi eccellenti e vini succulenti’. Che questa cena regali anche a noi salute e felicità.

Giornata missionaria. Il Seminatore uscì a seminare

In questi giorni di preparazione alla giornata missionaria, abbiamo tracciato un percorso con alcune tappe. Abbiamo voluto riscoprire figure eccellenti della storia cristiana: S. Teresa BG, padre Christian de Bergé (trappista ucciso dalla Jiad islamica), Paolo di Tarso, San Francesco, Santa Paola Elisabetta. Ma come sappiamo, i santi portano a Gesù. E’ stato bello riscoprire come questi santi hanno vissuto la loro missione, ma questo è ovvio il primo, vero missionario è Gesù: il Verbo di Dio che si fa carne. Cosa dice Gesù della sua missione? Usa spesso parabole come il vangelo di oggi: immagini semplici che invitano alla comprensione prima e poi alla sequela.

bimbo“Chi ha orecchi per ascoltare ascolti”, la frase allude a un ascolto attento. E suggerisce l’importanza, ma anche la misteriosità di ciò che viene detto. Qui “orecchio” sta per intelligenza: ciò che viene detto è, infatti, qualcosa da decifrare, e richiede l’attenzione della mente e del cuore. Disposizione che però non tutti hanno, vale a dire che esiste l’eventualità di non capire. La parabola del seminatore è quindi importante, va decifrata: alcuni comprendono, altri no. Le parabole si illuminano per chi è disponibile, restano oscure per chi ha il cuore indurito.

La parabola racconta la storia di una semina: “ecco, uscì il seminatore a seminare. E nel seminare..”. Una sola semina, lo stesso seminatore, lo stesso seme, gli stessi gesti, la medesima fatica, e tuttavia gli esiti sono diversi.

Ad una lettura attenta balza all’occhio che non il seminatore né il terreno sono al centro della parabola, ma il seme. Il seminatore compare all’inizio, poi non se ne  giusparla più. E a parte il suo gesto iniziale, di lui non si dice nulla, né una parola né una reazione: sulla sua fatica, le sue speranze, le sue delusioni, la sua gioia per il raccolto abbondante. L’attenzione deve perciò concentrarsi sul seme; non sulle sue qualità, di cui nulla viene detto, bensì sulla sua sorte.

La parabola fa intendere che le quattro scene di cui si compone non costituiscono quattro storie diverse, ma una sola: quella, appunto, di un contadino che getta il seme nello stesso campo e nello stesso giorno. Fuori metafora: le quattro vicende del seme rappresentano gli esiti diversi dell’unica seminagione fatta da Gesù. La parabola racconta la storia del suo ministero, la sua missione.

I primi tre quadri sono la storia di un ripetuto fallimento: caduto sulla strada o fra i sassi o fra le spine, il seme non frutta. Soltanto nell’ultimo quadro si legge che il seme, caduto sul terreno buono, porta molto frutto.

I primi tre esiti assomigliano molto alle nostre fatiche troppo spesso inutili! A tutti i nostri insuccessi. La durezza della strada fatta di pietra assomiglia molto alle vicende che non producono nulla oppure qdo qualcuno si impossessa di quello che abbiamo prodotto noi! Poi i rovi: anche quel poco viene soffocato! E le pietre, qdo c’è un bel michavvio e veloce, ma le scorciatoie non portano se non ad una strada senza uscita. E’ avvenuta la stessa cosa alla Parola, alla missione di Gesù: per primi i fallimenti! Ma perché? Forse perché il seme non era buono? In questione non è precisamente la verità della Parola, bensì la sua efficacia. Ciò che fa problema non è la bontà del seme, ma la sua concreta capacità di portare frutto.

Ma ecco in ogni caso dopo i ripetuti fallimenti, ecco il successo che ripaga della fatica. Chiedersi perché i terreni non permettano al seme di fruttificare è questione importante, che però riguarda gli altri. La parabola mira piuttosto non alle ragioni dei molti fallimenti, ma all’atteggiamento di fiducia che l’annunciatore della Parola deve assumere quando li incontra. Sottolineando per tre volte l’insuccesso, Gesù mostra come è la nostra vita.

Ma Gesù sposta l’attenzione dell’ascoltatore sull’abbondanza del raccolto: e lo fa con una serie di sottili contrapposizioni. Nei primi tre quadri la sorte del seme è descritta con “gli uccelli lo beccarono, il sole lo riarse, le spine lo soffocarono”. Invece, nel quarto i verbi sono all’imperfetto: “dava frutto, rendeva il trenta ecc”. In tal modo Gesù invita a concentrare l’attenzione sul seme che cresce e porta frutto. Sì, è vero che per tre volte il seme va sprecato, ma è ugualmente vero che la quantità non sprecata è molto grande. Ed è soprattutto l’abbondanza del raccolto che sorprende. Il trenta, il sessanta, il cento per uno è una proporzione altissima per allora che si arrivava circa all’otto – dodici rispetto al seminato.

Ci è richiesto fiducia nella vita, ma non in un futuro lontano: ora occorre sperare

la fiducia richiesta riguarda il presente più che il futuro. Questo è forse il tratto più singolare dell’intera parabola. I ripetuti fallimenti e il successo non sono disposti su una linea temporale: ora è il tempo dell’insuccesso, ma il futuro riserva ampio raccolto; oggi si sperimenta il fallimento della propria fatica, e oggi si sperimenta anche un grande raccolto! E comunque sia, non c’è ragione di scoraggiarsi, tanto meno di dubitare della presenza del Regno. La fiducia del contadino insegna a guardare al di là dei fallimenti, per accorgersi che la Parola del Regno è qui, fra smentite e successi, già ora efficace. Una frase di Gesù in Giovanni 4,15:”Levate i vostri cuori e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura”.

Fin qui il racconto parabolico: ciò che succede all’azione del contadino succede all’azione di Dio. Ma perché mai la semina di Dio deve assomigliare a quella di un contadino?

Stupisce però lo spreco di Dio. Il contadino eviterebbe lo sperpero, se potesse. Dio non dovrebbe, proprio perché Dio, evitarlo? Così la domanda cruciale si ripropone, costringendoci a rileggere la parabola per accorgerci che essa non darebbe nessuna risposta, se non venisse collocata in Gesù.  Perché altro è l’azione di un contadino, altro quella di Dio. Ed è soltanto al storia di Gesù che permette di cogliere le ragioni della somiglianza. La storia di Gesù, gesti e parole, croce e risurrezione, è la parabola che illumina tutte le parabole. Le parabole svelano pienamente il loro senso solo dopo la Pasqua. Se la semina di Dio non è diversa da quella del contadino, è perché all’origine dell’agire di Dio c’è una sovrabbondanza di amore che sembra spreco e noncuranza, e che soltanto la croce di Gesù riesce a svelare nel vero senso: non sperpero o inefficace debolezza, bensì gratuità e luminosa rivelazione di chi è Dio.

A questo punto la figura del contadino muta fisionomia: i suoi gesti non sono più quelli semplici e abituali di un contadino della Palestina, ma i gesti rivelatori della generosità divina, tanto disinteressata e traboccante da rasentare l’incuria e lo spreco; ciò è tipico dell’amore che non calcola.

p. Giuseppe Vitari