Qui a Messa ci si diverte

Destinazione: Maputo Sguardo dal finestrino del fuori strada che viaggia sulla strada nazionale EN1. Unica arteria asfaltata che percorre il paese da sud a nord, in direzione Maxixe che dista 550 Km. A poca distanza dall’aeroporto, sul lato destro, a pochi metri dalla strada, si susseguono abitacoli: baracche di caniço arrinadiacchite e addobbate con mezzi di fortuna: pezzi di lamiera, cartoni, teloni, stracci. Munite di un proprio giardino privato, spiazzo di due metri quadrati di arida terra rossa e sabbia, dove i bambini giocano a rincorrere un copertone di ruota sfatto. Sul lato sinistro, si estende, imponente e fumosa, una distesa di rifiuti popolata da un esercito di uomini e bambini, cercatori di beni commestibili, beni riciclabili, materiali riutilizzabili e speranza di sopravvivenza. Poi al crepuscolo subentra il buio che inghiotte ogni immagine.

Maxixe Sguardo lungo i marciapiedi. Dissestati, martoriati, disseminati di buche e ostacoli, detriti e reperti non proprio archeologici, a prova di slogatura e inciampi; meglio muoversi nel mezzo della carreggiata. Svolta a sinistra, nel cuore pulsante della cittadina. Qui si snoda l’attività commerciale. Sui marciapiedi e lungo la strada, stuoie posate a terra cariche di mercanzie di vario genere: patate, insalata, banane, manghi, papaie, noci di cocco, uova, biscotti fatti in casa, pesce fresco, polli vivi, polli morti, vettovaglie, ruote, fustini di vernice vuoti, bottiglie piene e altro ancora. Accasciate sulla stuoia accanto alla loro merce, donne con allegato figlioletto fasciato sulla schiena da una kapulana. Altri bambini siedono pierodiligentemente al fianco della madre o delle sorelle maggiori. Niente strilli né capricci, nessun pianto. I piccoli dormono beatamente, i grandicelli osservano. Accanto il pattume decora le strade, si confonde e si mischia con i colori vivaci e brillanti delle Kapulane, dei vestiti, della strada, della terra, della sabbia, della merce, conferisce un tocco esotico all’ambiente circostante.

Santa Messa alla Comunità di Matadouro Sguardo alla chiesa. Facciata: muro dell’altezza di 1 metro e 50 circa di mattoni lasciati al rustico, che seguono tutta la parte perimetrale. Agli angoli spuntano i pali di legno che svettano in altezza alla cui sommità vengono legati con estrema perizia i teloni variopinti che fungono da tetto, per circa 2/3 della superficie. 1/3 rimane a vista. Porta: non c’è. Guglie: non servono. Navata: una, a forma rettangolare. Colonne: pali di legno per sostenere al centro i teloni. Pavimento in sabbia rossa mozambicana. Sguardo sui fedeli. C’è aria di festa. Otto matrimoni e nove battesimi e molti invitati. Prime file di sedie riservate ai parenti. Chiesa gremita. I posti a sedere sono esauriti. Una Signora lungimirante entra direttamente con una sedia che si porta in testa e prende posto dove meglio crede. Gli altri, uomini, donne, anziani, anziane, giovani, bambini, iniziano a tappezzare il pavimento con stuoie e kapulane e poi compostamente siedono. Ormai non c’è più alcun spazio, diventa difficile persino posare i piedi a terra. Un turbinio di colori incanta e confonde. Sguardi che incrociano sguardi. Occhi sgranati su intimiditi visini. Occhi stanchi sotto fronti rugose. Occhi vivaci e curiosi. Occhi austeri e fieri di essere lì. Poi via coi canti, musica e direttrice d’orchestra. Entra il corteo di sposi, seguito dai battezzanti, quindi i parenti, infine il celebrante. Si suona, si canta e si balla e ci si dimentica di navate, colonne e capitelli, guglie e cupole, perché oggi è festa per davvero, la gente è sinceramente felice, le spose son radiose nei loro vestiti di seconda, terza o quarta mano. Ma chi se ne importa! Tutti ne son coinvolti, anche coloro che han trovato posto nel 1/3 a vista cielo e ora brillano più degli altri imperlati come sono di sudore. Potrebbe sembrare strano ma qui, a Messa, ci si diverte.  Nadia Milesi