Amo i poveri e il Brasile

Caro padre Marco come è natala tua vocazione? Nel 1955 avevo 10 anni ed osservando l’Ordinazione sacerdotale di un giovane del mio paese nativo (Oltre il Colle) ho sentito la chiamata al sacerdozio; in modo speciale ho sentito che avrei dovuto essere missionario. Entrato nel Seminario della Congregazione della «Sacra Famiglia» ho emesso i Primi Voti religiosi nel 1965 e sono stato Ordinato sacerdote nel 1970.

Attualmente eserciti il tuo ministero di religioso e sacerdote presso la Parrocchia «Sagrada Família» di Montes Claros. Com’ è la tua esperienza? La realtà della Parrocchia Sacra Famiglia di Montes Claros è molto complessa. È, infatti, una comunità sita nella periferia di una grande città, molto povera e ricca di disoccupazione. I problemi più gravi sono legati alla droga tra i giovani, alla prostituzione infantile, alla marginalità, alla criminalità, alla fragilità delle famiglie che si trovano distrutte, alla precaria attenzione per l’istruzione. La Parrocchia, poi, è articolata in comunità urbane e da comunità rurali; il lavoro è molto ma non sono solo: con me dal 2011 è arrivato, in qualità di coadiutore parrocchiale, p. Aurelio Fratus. Per noi le priorità pastorali sono: la famiglia, i bambini poveri, gli adolescenti e i giovani. Il fatto di essere religioso della Sacra Famiglia mi aiuta a privilegiare chi non ha futuro, sia in senso ‘materiale’ che ‘spirituale’: è così che cerco di vivere il carisma e la spiritualità ceriolana. Mentre io lavoro quasi esclusivamente in Parrocchia, p. Aurelio vive anche una bella collaborazione con le nostre Consorelle della Sacra Famiglia di Montes Claros, impegnandosi presso il Centro dei Bambini e Adolescenti Santa Paola Elisabetta Cerioli, da loro organizzato presso la Casa madre.

Qual è l’esperienza, il ricordo più bello che porti con te in tanti anni di missione brasiliana? Posso affermare che il momento più bello dei miei 38 anni di vita missionaria in Brasile è stato vedere bambini rachitici, in fin di vita, rinascere e crescere attraverso la Pastorale dei bambini (Pastoral da Crança) che ho fondato nelle varie parrocchie in cui sono stato. Bambini senza vita, crescere forti e pieni di vita. É senz’altro l’esperienza che più mi ha commosso. Un altro elemento positivo che mi ha accompagnato nella mia vita missionaria è stata l’esperienza di camminare con i laici e per i laici.

marco2E il ricordo più doloroso, più impegnativo e più difficile? Il momento più difficile e doloroso è stato quando ho provato sulla mia carne l’ingratitudine umana di alcune persone che avevo aiutato a vivere. Io faccio parte della Chiesa brasiliana, una chiesa che vuol vivere con il popolo, una chiesa che ha cercato di applicare le scelte del Concilio Vaticano II , una chiesa aperta all’ispirazione dello Spirito Santo, una chiesa modello per i Paesi dell’America Latina. Qualcuno ha ferito questi miei ideali.

Montes Claros è una città che facilita il contatto con i più poveri. Che cosa hai imparato da loro? Che cosa fai con loro, per loro? Come ho detto precedentemente la Parrocchia «Sacra Famiglia» di Montes Claros, di cui sono parroco, è una parrocchia con la presenza di molti poveri. I poveri sperano di ricevere molto in alimentazione, medicine, pagamento delle fatture di acqua e luce, ecc. Nello stesso tempo noi impariamo molto dai poveri, come l’accoglienza, la generosità, l’aiuto mutuo, la disponibilità nel servire che è più povero, soprattutto i bambini. Come avevo fatto nelle parrocchie di Assai e Peabiru, cosi appena nominato parroco della Parrocchia Sacra Famiglia di Montes Claros ho impiantato la Pastorale dei Bambini. In Parrocchia ne seguiamo più di 1.300, nella zona urbana e rurale. Chi segue questi bambini, necessariamente entra in relazione con le loro famiglie. Chi si preoccupa della salute dei bambini sono più di 100 persone volontarie, la maggior parte donne, a loro volta provenienti da famiglie povere. Il povero è più aperto alla sofferenza dell’altro. Questi sono tutti elementi che insegnano a noi religiosi una maggiore dedicazione per chi è necessitato e per chi non ha futuro. Molte persone in Italia mi chiedono se non è arrivata l’ora di ritornare in Italia. Non nego la necessità dell’evangelizzazione in Italia, ma collocando le due necessità tra Brasile e Italia preferisco continuare in Brasile, sempre con il permesso dei miei Superiori.

Cosa rappresenta per te il Brasile? Cosa è stato per me il Brasile? In Brasile mi sono sentito e mi sento realizzato come persona umana, come cristiano, come religioso della Congregazione della Sacra Famiglia di Martinengo e come Sacerdote.

Intervista a p. Marco Ceroni

Ripartire di nuovo

Scrivo queste poche righe per condividere con gli amici l’esperienza di come le sorprese di Dio si realizzano nella nostra vita trasformandola. Durante il Tempo di Pasqua del presente anno, mi sentivo internamente disturbato a causa dell’aspettativa creata dalla chiamata ad una nuova missione. Mi trovavo bene a Vigna Pia (Comunità di Roma) e speravo continuare in quell’attività pastorale ancora un poco. Quanti pensieri, quante domande e resistenze ho provato! Un giorno, chiedendo lumi al Signore, trovai un breve testo del caro Mons. Helder Câmara che mi fece riflettere: «Accetta le sorprese che trasformano i tuoi piani, sgretolano i tuoi sogni, danno una direzione totalmente diversa al tuo cammino, e chissà, alla tua vitaNon succede a caso. Da libertà al Padre dei cieli perché Lui conduca il senso cezardei tuoi giorni». Realmente sentii che non potevo controllare la mia vita per il fatto che l’ho consacrata a Dio; sappiamo bene che «chi desidera conservarla la perderà…!». «Accetta! », ripetevo a me stesso: «sarà bello partire di nuovo…» Sostenuto dal Signore nella preghiera, animato dalla condivisione con i confratelli ho finito per accettare questa nuova sorpresa di Dio per me e, pur senza percepire bene tutto il suo significato, sentii che valeva la pena per me confidare e sperare in Colui che senza mio merito mi ha chiamato a seguirlo. Non è la prima volta: a ciascuna chiamata ricevuta il Signore ha dato novità ed ha concesso le grazie necessarie per portarle; ciò a partire già dagli anni della formazione! A volte la mia ragione collocava questioni e Dio parlava più forte al mio cuore! Ho potuto continuare nell’esperienza internazionale, consacrarmi nella Professione perpetua, nell’ordinazione. Oggi non mi pento affatto di nulla: so che è il Signore a condurmi! Le esperienze nel lavoro formativo in Brasile me lo hanno dimostrato: tante sfide e conquiste vissute insieme ai giovani, alle loro famiglie ed alla Congregazione, mia famiglia, mi confermano nella coscienza che l’azione provvidenziale del Padre veniva e viene in soccorso ai miei limiti. Ho sperimentato che non esistono casualità, quando ci lasciamo guidare dal Signore, anche se certe proposte appaiono difficili; al momento opportuno la volontà di Dio si rivela e possiamo cogliere il frutto del suo Amore. Nel 2009 fui inviato a Roma dove, inserito nella Comunità di Vigna Pia, ebbi la possibilità di approfondire gli studi teologici e vivere una ricca esperienza pastorale presso la Parrocchia «Sacra Famiglia a via Portuense». Ne è valsa la pena di tutto e mi sento molto grato alla Congregazione e a quella Comunità: ai confratelli, ai collaboratori, ai giovani, ai bambini e loro famiglie: mi accolsero e mi aiutarono a vivere un vero tempo di grazia. A fine agosto sono partito ed ora eccomi in Mozambico! Una nuova Comunità mi ha accolto fraternamente e, non senza resistenze, dovute alla mia debolezza, sto cercato di dare a Dio Padre la sua libertà affinché Lui mi conduca. So che Lui è fedele e non abbandona, sostiene ed anima il cammino. Vedo dischiudersi davanti a me un mondo nuovo, pieno di bellezze e misteri, sfide ed attrazioni, non so come sarà … continuo fiducioso, desideroso di corrispondere, secondo le mie capacità, a questa nuova opportunità di crescita e di grazia che le sorprese di Dio vorranno offrirmi.

p. Cezar L.E. Fernandes

Qui a Messa ci si diverte

Destinazione: Maputo Sguardo dal finestrino del fuori strada che viaggia sulla strada nazionale EN1. Unica arteria asfaltata che percorre il paese da sud a nord, in direzione Maxixe che dista 550 Km. A poca distanza dall’aeroporto, sul lato destro, a pochi metri dalla strada, si susseguono abitacoli: baracche di caniço arrinadiacchite e addobbate con mezzi di fortuna: pezzi di lamiera, cartoni, teloni, stracci. Munite di un proprio giardino privato, spiazzo di due metri quadrati di arida terra rossa e sabbia, dove i bambini giocano a rincorrere un copertone di ruota sfatto. Sul lato sinistro, si estende, imponente e fumosa, una distesa di rifiuti popolata da un esercito di uomini e bambini, cercatori di beni commestibili, beni riciclabili, materiali riutilizzabili e speranza di sopravvivenza. Poi al crepuscolo subentra il buio che inghiotte ogni immagine.

Maxixe Sguardo lungo i marciapiedi. Dissestati, martoriati, disseminati di buche e ostacoli, detriti e reperti non proprio archeologici, a prova di slogatura e inciampi; meglio muoversi nel mezzo della carreggiata. Svolta a sinistra, nel cuore pulsante della cittadina. Qui si snoda l’attività commerciale. Sui marciapiedi e lungo la strada, stuoie posate a terra cariche di mercanzie di vario genere: patate, insalata, banane, manghi, papaie, noci di cocco, uova, biscotti fatti in casa, pesce fresco, polli vivi, polli morti, vettovaglie, ruote, fustini di vernice vuoti, bottiglie piene e altro ancora. Accasciate sulla stuoia accanto alla loro merce, donne con allegato figlioletto fasciato sulla schiena da una kapulana. Altri bambini siedono pierodiligentemente al fianco della madre o delle sorelle maggiori. Niente strilli né capricci, nessun pianto. I piccoli dormono beatamente, i grandicelli osservano. Accanto il pattume decora le strade, si confonde e si mischia con i colori vivaci e brillanti delle Kapulane, dei vestiti, della strada, della terra, della sabbia, della merce, conferisce un tocco esotico all’ambiente circostante.

Santa Messa alla Comunità di Matadouro Sguardo alla chiesa. Facciata: muro dell’altezza di 1 metro e 50 circa di mattoni lasciati al rustico, che seguono tutta la parte perimetrale. Agli angoli spuntano i pali di legno che svettano in altezza alla cui sommità vengono legati con estrema perizia i teloni variopinti che fungono da tetto, per circa 2/3 della superficie. 1/3 rimane a vista. Porta: non c’è. Guglie: non servono. Navata: una, a forma rettangolare. Colonne: pali di legno per sostenere al centro i teloni. Pavimento in sabbia rossa mozambicana. Sguardo sui fedeli. C’è aria di festa. Otto matrimoni e nove battesimi e molti invitati. Prime file di sedie riservate ai parenti. Chiesa gremita. I posti a sedere sono esauriti. Una Signora lungimirante entra direttamente con una sedia che si porta in testa e prende posto dove meglio crede. Gli altri, uomini, donne, anziani, anziane, giovani, bambini, iniziano a tappezzare il pavimento con stuoie e kapulane e poi compostamente siedono. Ormai non c’è più alcun spazio, diventa difficile persino posare i piedi a terra. Un turbinio di colori incanta e confonde. Sguardi che incrociano sguardi. Occhi sgranati su intimiditi visini. Occhi stanchi sotto fronti rugose. Occhi vivaci e curiosi. Occhi austeri e fieri di essere lì. Poi via coi canti, musica e direttrice d’orchestra. Entra il corteo di sposi, seguito dai battezzanti, quindi i parenti, infine il celebrante. Si suona, si canta e si balla e ci si dimentica di navate, colonne e capitelli, guglie e cupole, perché oggi è festa per davvero, la gente è sinceramente felice, le spose son radiose nei loro vestiti di seconda, terza o quarta mano. Ma chi se ne importa! Tutti ne son coinvolti, anche coloro che han trovato posto nel 1/3 a vista cielo e ora brillano più degli altri imperlati come sono di sudore. Potrebbe sembrare strano ma qui, a Messa, ci si diverte.  Nadia Milesi

Storia quasi vera di un bambino di Mongue

DSCF0202Era la notte dell’ultimo dell’anno e tutta la gente era in un fermento incredibile.
Mio padre quel giorno era riuscito a mettere in casa dodici birre grandi, un bottiglione di surra (grappa di cocco), un bidoncino di maéu (pappa di farina di granoturco) e un capretto. Non c’è che dire, davvero un fine anno coi fiocchi. Leggi tutto… “Storia quasi vera di un bambino di Mongue”