Mercoledì – 4° di Quaresima

11224061_10208074563165219_8631435435341555968_nVangelo Gv 5, 17-30
In quel tempo Gesù rispose ai giudei: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero… Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole; il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio…chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna”.
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Giovanni riporta questo avvenimento, perché nella comunità ecclesiale, alla fine del primo secolo, era ancora molto diffusa, specialmente fra i giudei convertiti, la mentalità che fosse l’osservanza della legge a comunicare la salvezza. Queste persone, poi, giudicava no aspramente i fratelli che non si attenevano alle rigide osservanze legali. La Parola, oggi, è donata a noi. Molte volte corriamo il rischio di fermarci alle pratiche religiose, dimenticando che sono un mezzo e non il fine della vita cristiana. Lo scopo ultimo è il contatto vivo e costante con la persona stessa di Cristo, unica fonte di salvezza. Se Gesù diviene l’unico punto di riferimento, allora non è nemmeno necessario che noi attendiamo, con il fiato sospeso, il giudizio finale al termine della nostra vita. Gesù, infatti, afferma che, chi ascolta la sua parola e crede nel Padre, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, perché è già passato dalla morte alla vita.

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Martedì – 4° di Quaresima

11222472_903163916438728_884276072156080609_nVangelo Gv 5, 1-3a.5-16
Vi è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina… Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù , vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?… Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare..
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Gesù si avvicina alla folla e, in modo paradigmatico, ne guarisce un componente, quello più solo e abbandonato, che non ha nessuno che l’aiuti. L’iniziativa è indispensabile per la salvezza: se Cristo non si fosse interessato del paralitico, che attendeva da trentotto anni, questi avrebbe atteso ancora all’infinito. Occorre pure la collaborazione umana. Nel paralitico sembra esserci solo parzialmente, in quanto non capisce a fondo il dono della salvezza totale, che Cristo vuole offrirgli. Per questo si ritrova guarito, ma non salvato. Non sa nemmeno chi l’abbia guarito. Quando l’impara, non fa alcuna professione di fede in Cristo; anzi si reca a fare la spia, ed è occasione almeno implicita, dell’odio iniziale dei capi verso Gesù. Si può sottolineare la diversità di comportamento tra questo miracolato e il cieco nato, che professa Cristo e accetta di essere “scomunicato” per lui. Il nostro comportamento nei riguardi dei doni che Dio ci elargisce in continuazione, assomiglia a quello del paralitico della piscina o a quello del cieco nato? Attenzione, perché, scegliendo un comportamento anziché l’altro, ci giochiamo in positivo, o in negativo, la nostra salvezza eterna.

Lunedì – 4° di Quaresima

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Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao… Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”… Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù.
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Per potersi nutrire di certi frutti, è indispensabile penetrare all’interno della scorza o del guscio. I prodigi biblici si possono paragonare ai frutti sopra descritti. Se ci fermiamo al prodigio in sé (il guscio), possiamo al massimo esultare per la bellezza esteriore dell’avvenimento; solamente se lo percepiamo come segno (il frutto), siamo in grado di afferrarne il messaggio divino che contiene, applicarlo a noi stessi, ottenere la salvezza che significa. I sacramenti, la parola di Dio, la perfezione del creato, gli avvenimenti quotidiani sono prodigi. Se ci fermiamo alla sola apparenza, e non penetriamo nel loro profondo mistero, perdiamo preziose occasioni di essere rafforzati nella fede e santificati nella grazia.

Domenica – 4° di Quaresima

12802890_10153985246109375_4476811286587912249_nVangelo Lc 15, 1-3.11-32
Allora egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane… Il figlio maggiore…ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto, ed è stato ritrovato”.
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Il cuore dell’uomo è veramente misterioso. Dio è obbligato a “fare propaganda” del suo infinito amore gratuito, che vuole perdonare tutti i debito, e ridare dignità divina a chi l’ha perduta. Il mistero si infittisce, dal momento che l’uomo si ostina a non accettare la sua proposta. Spesso abbiamo vissuto l’esperienza del figlio minore della parabola evangelica. Per gustare un attimo di ebbrezza e provare una falsa sensazione di libertà, abbiamo preferito abbandonare la casa paterna e rifugiarci nel peccato. Poi, nauseati della nostra scelta, abbiamo pensato con nostalgia a Dio, anche se nutrivamo timore del suo giusto e comprensibile risentimento. Invece, abbiamo trovato solamente un padre a braccia spalancate e pronto a fare festa per il nostro ritorno. Considerato l’esito positivo dell’avventura, non facciamo fatica a riconoscerci nella figura del figlio prodigo. Dobbiamo avere il coraggio e la lealtà di rispecchiarci anche in quella del figlio maggiore. Pur peccatori, rimproveriamo a Dio la facilità con cui perdona gli “altri”; lamentiamo il ritardo con cui fa giustizia dei malvagi… In tal modo roviniamo, almeno in parte, la festa a Dio; e la roviniamo anche a noi stessi, dal momento che saremo festeggiati, in proporzione di come siamo disposti a festeggiare gli altri peccatori pentiti.

Sabato – 3° di Quaresima

10385391_982773101736552_4575707277143500531_nVangelo Lc 18, 9-14
In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano… Io vi dico: questi tornò a casa giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
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Una signora si accosta al sacramento della riconciliazione, e inizia in questo modo la sua accusa: “Padre, sono otto giorni che non mi confesso. Non me la sento di accostarmi alla comunione… Come le ho già detto, dei peccati non ne faccio; è mia nuora che è cattiva. Vuole che le racconti cosa fa? Lo sa che non va mai alla messa, che parla male dei preti, e che…”. Con tutta probabilità, la signora non ha celebrato validamente il sacramento della penitenza. Non rimane altro che implorare “san Clemente” affinché interceda per questa persona, e veda se le si può, per caso, applicare l’”ottavo” sacramento, vale a dire quello dell’ignoranza… Per quanto ci riguarda, sarà bene che ci serviamo rettamente dei sette, istituiti da Gesù Cristo. In particolare, accostiamoci da poveri pubblicani, dal momento che lo siamo, e con le dovute disposizioni al sacramento della riconciliazione. Usciremo dalla chiesa giustificati.

Venerdì – 3° di Quaresima

11058665_898395370195668_631627066003127066_nVangelo Mc 12, 28-34
… Allora lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”...

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L’insegnamento del vangelo è attualissimo. Anche oggi abbiamo la sensazione, religiosamente parlando, di essere sommersi da una farragine di “cose da fare”, di regole da osservare, di pericoli da evitare. Senza la carità, siamo come cembali squillanti. Il termometro per misurare la nostra spiritualità, non è tanto il volume delle “cose importanti” che facciamo, ma l’amore di Dio che possediamo. Il mezzo, poi, per verificare, in modo disincantato, la carità che nutriamo verso Dio, è di esaminare il volume e la qualità di quella che esercitiamo verso il prossimo e, in particolare, nei riguardi delle persone “più prossimo” di tutte; vale a dire, verso quelli di casa, che spesso trascuriamo, con il pretesto di dover servire il “terzo mondo”. Gesù ci avverte pure che non siamo in grado di amare rettamente il prossimo, se non amiamo noi stessi nel modo giusto. Se, ad esempio, abbiamo di noi una cura narcisistica, un’attenzione sensuale, una preoccupazione avida, riverseremo inevitabilmente sul nostro prossimo anche se in modo inconscio, questi sentimenti morbosi. Se, al contrario, ci ameremo come figli di Dio e rispetteremo in noi tale dignità con coerenza, saremo capaci di amare gli altri nella giusta prospettiva umana e cristiana.

Giovedì – 3° di Quaresima

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In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto… Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate.
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L’esperienza personale ci insegna quanto sia difficile ascoltare Dio, e soprattutto mettere in pratica quanto lui ci consiglia. Questa difficoltà è dovuta, in parte rilevante, a Satana, l’acerrimo nemico di Dio e della sua creatura privilegiata. Fin dalle origini ha impedito all’uomo di ascoltare la paterna voce di Dio, e l’ha sollecitato a ribellarsi al progetto divino su di lui. L’esperienza biblica e quella personale ci dimostrano che da soli non riusciamo a tenere testa al diavolo e alle sua suggestioni. Cristo, però, ha sempre vinto il maligno, perché infinitamente più forte di lui. Abbiamo l’intelligenza di rivolgerci al Signore con una preghiera umile e fiduciosa sempre, ma specialmente nel momento della tentazione.

Mercoledì – 3° di Quaresima

12814074_835606863215897_9185853288622219974_nVangelo Mt 5, 17-19
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti… In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto… Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”.
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Quando uno pone a ristrutturare un vecchio edificio, si rende conto abbastanza presto che spenderebbe meno, se lo radesse al suolo, e ne costruisse un altro completamente nuovo. Questo criterio non possiamo applicarlo all’Antico Testamento nei riguardi del Nuovo: Gesù non lo permette.. Non si tratta di distruggere il”Vecchio” Testamento, per fare riferimento solamente al “Nuovo”, ma di vivere il vecchio in modo nuovo. In altre parole, l’Antico Testamento dobbiamo leggerlo e interpretarlo alla luce di Gesù. Il valore della legge rimane immutato. Dobbiamo continuare a interpretarla con l’intelligenza, a praticarla con la volontà, ma ad amarla anche con il cuore, sull’esempio di Cristo. Quello poi, che Gesù aggiunge alla legge antica non l’abolisce ma le dona uno spirito nuovo che la vivifica. Affinché queste idee ci divengano familiari, leggiamo spesso la Bibbia, meditiamola, preghiamola. Caso mai, meno televisione e più Sacra Scrittura.

Martedì – 3° di Quaresima

12524275_906581879455346_7960226507568701539_nVangelo Mt 18, 21-35
In quel tempo, giunto Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?”… E Gesù gli rispose: “… A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi…gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti… Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari…”.
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Pietro nel Vangelo chiede a Gesù quante volte bisogna perdonare il proprio fratello. I rabbini dicevano che Dio perdonava fino a tre volte; altre scuole dicevano che alla moglie si poteva perdonare una volta sola, mentre ai figli cinque volte. Quindi Pietro, basandosi sul detto che Dio perdonava tre volte, chiede se si dovesse perdonare sette volte, un buon numero! Ma il Signore gli risponde: «Settanta volte sette dovrai perdonare al fratello». Gesù vuol dire innumerevoli volte, un numero di volte che non si può contare, quindi sempre! Però Pietro, che voleva molto bene a Gesù, era un po’ cocciuto e il Signore, che lo conosceva bene, gli fa un racconto. Il padrone è il simbolo di Dio. Ogni peccato che noi facciamo contro Dio è sempre un qualcosa di infinitamente più grande dell’offesa che un altro possa fare a noi, quindi noi dobbiamo perdonare come perdona Dio. La misura del perdono è la misura di Dio: dobbiamo perdonare come il Signore perdona noi. Se tu vai dal Signore e gli dici: «Perdonami Signore, l’ho fatta grossa!» e poi non sei capace di perdonare colui che ha offeso te, il Signore ti dice: «No, non ti perdono perché io vi amo tutti e due nello stesso modo, e se tu sei figlio mio, devi perdonare come io perdono»